La ricetta della felicità
Scrivevo solo di argomenti tristi, guerre, morti, politica, e quindi ero sempre triste. Un noto autore, noto a me e ad altri tre, mi suggerì. “La ricetta della felicità è scrivere di argomenti felici, armistizi, nascite, sport.” E così feci. Ci tenevo davvero ad essere felice.
Parlai con un armistizio. “Ho partorito la pace.” Mi disse. “Ma i figli sono come semi, non dipende solo dal contadino se danno frutti. Così la pace è stata un insieme di meschinità, la ricerca di un lavoro, di una persona con cui vivere o scopare, -sì, usò proprio questo termine e stupì anche me-, di piatta tranquillità e di morte serena.” Ci sedemmo in un prato e l’armistizio indicò la spianata davanti a noi. “Corpi in armi, spari, eroismi, un groviglio di sentimenti forti, questo la nostra vita dovrebbe essere.” E corse via in un passo lento che avrebbe voluto essere un contrattacco.
In un reparto Pediatria attendevo nascite come lo sbocciare di fiori. Genitori festanti per un futuro di carrozzine e pappine, di accompagnamenti e compiti, malanni e malesseri. Chiesi ad uno perché fosse felice. “Sono padre. Per questo sono felice. E’ una cosa buona, no?” Lo guardai muto lasciandolo col dubbio della sua stessa domanda. Mentre mi allontanavo piano, sentii il rumore di un sonaglino in lontananza, certo proveniente dalla culla in cui era scritto il cognome di quell’uomo felice di essere padre.
Passai a scrivere di sport e quel giorno c’era una maratona, in un clima carnevalesco: carri e striscioni, ricerca contro il cancro e la fame nel mondo, gente che correva. Chi “perché fa bene”, “chi “per sentirmi in forma”, “chi perché sfina.” Ma “non era il nero che sfinava?” Chiesi. “Anche la corsa.” Mi risposero. Alcuni, per potersi allenare, si svegliavano alle 5 di mattina, altri seguivano le distanze su orologi speciali, altri bevevano bibitoni come nel deserto. “Quindi l’importante è correre, non vincere?” Chiesi a quello che mi pareva meno intronato. “Manco per il cazzo.” Mi rispose. “Se non faccio meno di tre ore ho buttato cinque anni della mia vita.” Attesi la fine della gara, ci riuscì, non aveva buttato cinque anni della sua vita.
Esaurito il mio compito tornai dal noto autore, noto a me e ad altri tre. “Ecco, ho fatto quanto suggerito.” E gli porsi un manoscritto, scritto al pc, quindi un pcscritto. Lui lesse tutto, ogni tanto alzava lo sguardo ad interrogarmi, ma poi rimaneva zitto e continuava. “Esiste la felicità?” Mi chiese quando ebbe finito. Al mio silenzio convinto, chiamò il figlio, un frugoletto biondo di 11 anni. “Esiste la felicità?” Chiese stavolta a lui.
“Certo che esiste.” Aprii le orecchie, pronto a ricevere la ricetta della felicità dal figlio noto di uno scrittore noto. “E’ la gatta dello zio Franco. Felicità si chiama.” E ritornò a giocare alla Playstation perché aveva sospeso la partita a 7.880 punti e il suor record era vicino, 8.230 punti.
(Giovanni Lupi 25 maggio 2018)