Anzio e la rivolta del –Molaccio-

“Il Porto di Nerone aveva due bracci, come un uomo in piedi che cinge il mare per proteggere le barche che entrano, uno di Levante,  di cui rimangono due scogli, uno di fronte all’altro....”

Un volontario di una meritoria associazione guidava una visita culturale sui Porti di Anzio, il Neroniano e l’Innocenziano.  Quell’uomo era un eroe moderno, organizzare una visita culturale ad Anzio, luogo noto per gli strafogamenti di pesce, pizza e gelato come non ci fosse un domani.

“...Invece, lì in fondo, sulla nostra destra vedete dei massi, bene, quello è il braccio di Ponente del Porto neroniano. I tre grandi scogli, il Primo, il Secondo, il Terzo e poi gli altri. Ci siamo cresciuti tutti noi di Anzio lì, a fare il bagno, a giocare… Avevamo la tua età…” E si rivolse a un bambino tenuto per mano da una ragazza bionda col piercing al naso.

“Cosa vuoi fare da grande?” Gli chiese sperando dicesse l’archeologo.

“Non voglio diventare grande.” Disse invece quello, con la più saggia delle risposte.

Quando la guida stava per riprendere il suo excursus, la ragazza del piercing si permise una domanda “scusi, ma quei pulmann?”

“Quali pulmann?”

“Quelli.” La ragazza indicò dei giganteschi mezzi meccanici che si dirigevano verso il braccio di Ponente.

La guida ammutolì. Tutti ammutolirono non sapendo che altro fare. La guida cominciò a correre, poi lo scarso allenamento gli impose una andatura più moderata. Tutto il pubblico della visita guidata lo seguì, ognuno seguendo il suo passo e la sua indole.

“Scusi, ma cosa state facendo?” Chiese la guida a uno degli autisti dei mezzi meccanici.

“Cemento.” Rispose quello.

“Come cemento? Qui ci sono i resti del Porto di Nerone… Ma mettete il cemento per proteggerlo?”

“No, ce lo mettiamo sopra.”

“Senta, non è possibile, ci deve essere un errore…”

L’autista si mise le cuffie anti-rumore. Non le indossava mai quando lavorava, anche quando il frastuono era insostenibile, ma solo quando gli toccava ascoltare un rompicoglioni.

Nel frattempo era arrivato anche il pubblico della visita guidata.

“E’ come il piercing, non fa male quando fa lo fai, ma dopo. Ma poi passa tutto e ti sembrerà di non aver mai provato quel dolore.” Disse la ragazza bionda con una frase che la guida non capì immediatamente.

Ma, effettivamente, quello che all’inizio era stato solo stupore si trasformò in dolore forte. Il dolore di non potere fare altro che assistere a quello scempio. Sui suoi ricordi di infanzia, sugli scogli in cui aveva scambiato i primi baci, una colata di cemento, giorno dopo giorno, si adagiava. Si sentì defraudato di tutto, anche del dramma, infatti non riusciva a condividere il suo strazio con nessuno. I suoi concittadini parevano anestetizzati a tutto, a ben altro avevano assistito in quegli anni.

“Deve esse il conguaglio.” Gli disse uno.

“Il conguaglio di che…” Chiese la guida.

“Conti, conti loro…”

“E’ un con guaio…, solo un guaio…” E anche la guida si abituò, come aveva predetto la ragazza “ma poi passa tutto e ti sembrerà di non aver mai provato quel dolore.” Come i suoi concittadini si erano abituati agli scempi urbanistici, all’immondizia, al frastuono di automobili e musica senza senso, lui si era abituato ormai a quel “Molaccio”, soprannome diffuso di quel pezzo di molo. Ah, perché, ad un certo punto, per una interdittiva antimafia nei confronti della società cui erano stati affidati i lavori dalla Regione per la –protezione- del Porto Neroniano, i lavori erano stati interrotti.

La guida passava ogni giorno davanti a quel Mostro di cemento e, appena si avvicinava, sentiva le voci che parlavano di eliminare il Molo, di fare delle Grotte di Nerone un Patrimonio, di utilizzare il Molo per osservare le Grotte, per … e tanto altro. Voci, solo voci che scemavano appena si allontanava.

La guida non era una persona fortunata, aveva avuto due mogli, la prima l’aveva lasciato, la seconda era rimasta. Ma dieci anni dopo la costruzione del Molaccio, avvenuta nel 2014, assistette ad un episodio che fu davvero fortunato.

“Buongiorno signora guida.” Lo chiamò un ragazzo muscoloso e dal sorriso aperto.

“Ci conosciamo?”

“Dieci anni fa… Assistetti a una sua visita guidata. E, ad un certo punto, arrivarono dei pulmann.”

“Ah, tu sei il ragazzino che non voleva diventare grande. Mi pare che non sei riuscito nel tuo obiettivo.” Sorrise le guida guardando la massa muscolare del ragazzo. Quello sorrise mostrando denti bianchissimi e mostrò un secchiello da bambino, tutto rovinato dall’usura di anni. Poi andò verso il Molaccio e con uno scalpellino e un martello colpì il cemento in una fessura che, probabilmente, aveva lui stesso creato.

“Che fai?” Chiese la guida.

“Non sono diventato grande. Ogni giorno passo qui e porto via un pezzetto di molo.”

“Ma ci metterai secoli…”

“Che importa, io non diventerò mai grande.” Rispose quello e se ne andò. Consegnò il secchiello alla madre col piercing e, entrambi, si allontanarono.

La guida pensò molto a quell’incontro, alla sua infanzia, alle voci che provenivano dal Molaccio, a tanto altro. Pensò tanto da immobilizzarsi finché si scosse, all’improvviso.

“Vorrei un secchiello, uno scalpello e un martello.” Chiese al Ferramenta sulla Riviera Zanardelli che ha tutto e se non ce l’ha se lo inventa.

Colpì anche lui il Molaccio, asportando un pezzetto che gli parve infinitesimale rispetto all’arco di 400 metri per 5 su cui il Mostro si spalmava. Ma non fece calcoli, non gli importava quanto ci avrebbero messo, ora che erano due.

Qualcuno lo vide con lo scalpello, qualcun altro ne scrisse, si formò un gruppo facebook, whatsup e tutto quello sciamare spesso inutile che, in quel caso, ebbe un senso.

Il nuovo Sindaco era una persona onesta e volitiva. Proveniva dalla cd. “società civile”, non era un politico di professione cioè. I portodanzesi onesti e anche qualche disonesto pentito avevano appoggiato una lista civica che a quello faceva capo.

E il Sindaco si divertiva a sperimentare soluzioni nuove. Il parcheggio “La Piccola” era diventato custodito, tutto il centro era pedonabile a seconda delle necessità, aveva riaperto il Vallo Volsco e la Villa Imperiale con un bando inclusivo nei confronti delle associazioni di volontariato che non fosse solo uno scarico di responsabilità, aveva organizzato delle manifestazioni di teatro per strada, delle letture, abolito la musica caciarona e sanzionato i locali-discoteche senza permesso. Anzio era nuovamente frequentata da persone perbene e non più da delinquenti e coatti senza regole.

Così, quando venne a sapere quanto stava avvenendo al Molaccio, si presentò anche lui con uno scalpello, un martello e un secchiello per fornire il proprio contributo.

Bastò una foto su un giornale locale e la notizia si diffuse. Fu un fuoco di artificio di notizie e centinaia di persona vennero con scalpello, martello e secchiello per demolire il Mostro. Alla Stazione ferroviaria veniva prestato l’armamentario necessario, vicino al Molaccio ormai c’era una folla entusiasta tipo abbattimento del Muro di Berlino. Qualcuno vendeva anche “originali pezzetti di Molaccio.”

Un giorno, mentre la guida al colmo della felicità assisteva alla demolizione collettiva vide, in lontananza, il ragazzo che non voleva crescere.

La guida alzò lo scalpello verso di lui in segno di ringraziamento, lo stesso fece il Sindaco e tutti gli altri. Il ragazzo saluto in un sorriso che intercettò un raggio di sole che illuminò il mare per centinaia di metri: il Molaccio non c’era più.

Apparvero i resti del Porto Neroniano, ogni portodanzese rivisse i ricordi di infanzia e i primi baci. E, dopo tanti anni in cui non era stato possibile, furono di nuovo fieri di essere nati e cresciuti ad Anzio.

Giovanni Lupi 16.7.24

  • Racconto di Ferragosto (scritto col nipote) e peperonata

    Come noto al folto pubblico di miei lettori, ogni anno scrivo un racconto di Ferragosto insieme al mio nipotino. I primi anni mi forniva solo degli spunti e poi io scrivevo il racconto. Mi suggerì di scrivere di un tronco che parlava con una mensola vantando antenati comuni o, essendo io vegano, di un gatto che mangia il tofu. Da ognuno di questi spunti ebbe origine un racconto di gran successo.

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  • Anzio e la rivolta del –Molaccio-

    “Il Porto di Nerone aveva due bracci, come un uomo in piedi che cinge il mare per proteggere le barche che entrano, uno di Levante,  di cui rimangono due scogli, uno di fronte all’altro....”

    Un volontario di una meritoria associazione guidava una visita culturale sui Porti di Anzio, il Neroniano e l’Innocenziano.  Quell’uomo era un eroe moderno, organizzare una visita culturale ad Anzio, luogo noto per gli strafogamenti di pesce, pizza e gelato come non ci fosse un domani.

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  • Mani secche

    Quando nacqui avevo le mani secche

    e mia madre mi mise la crema, sopra

    allora c ‘era gente che non stava sempre al cellulare

    tornai dalla clinica avvolto in una copertina

    allora c’era gente che come unico amico non aveva -il vicino di abbonamento della Roma-

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  • L’Ora-colato (ovvero l’Alzheimer è uno spietato nazista)

    “Ma è lui?”, “Ma povero…”, “Tutto tranne quello vorrei.”

    Il fruscio dei commenti avvolse il condominio di via Fezzan. Paolo era stato medico, giornalista, sindacalista e tanto altro, eppure era toccato anche a lui. Quella malattia il cui solo nome fa paura: Alzheimer. Sembra il nome di uno spietato generale nazista che non fa prigionieri. Infatti, anche l’Alzheimer non fa prigionieri, si peggiora di giorno in giorno, “sino a non ricordarsi come si beve o si mangia”, ricordò uno dei condomini il cui padre aveva vissuto la stessa esperienza. Alle parole “beve” e “mangia” il condomino sgranò gli occhi, a spaventare.

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  • Amore scomposto

    Era un amore scomposto il suo
    in direzioni errate
    si perdeva dove non avrebbe dovuto
    ma gli dava vita
    una vita che ogni mattina
    lo faceva alzare.

    Per inseguirlo
    l’amore guidava
    lui dietro
    lo faceva vivere
    che non di fermava mai.

    Ma un amore scomposto
    “non sta bene”
    “non si fa”
    e allora smise di seguirlo
    e si fermò nel letto
    guardando il mare.

    “Vieni!”
    Lo chiamò l’amore scomposto
    che tanto aveva fatto
    ma lui non lo sentiva
    e rimase nel letto
    mentre davanti a lui
    il mare
    smise di muoversi
    e divenne
    cielo.

    (Giovanni Lupi 1.4.23)

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  • Non so vivere per me stesso.

    Non so vivere per me stesso.
    Ho cercato una felicità conservatrice
    aiutare gli altri
    sistemargli lo stuzzicadenti in gola
    perché non li strozzasse
    senza toglierlo
    per sentirmi utile
    senza lasciarli da soli
    per sentirmi Dio.

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  • Con pazienza


    Pescati da corpi doloranti
    persi in tre chili di liquami
    issati su una barca di mondo
    a largo tra bellezza e dolore
    nascemmo
    imperfetti
    mentre due occhi di sole ci guardavano.

    Che inganno furono quegli occhi.
    Nascosero ogni nostra imperfezione
    e credemmo non servissero
    pillole per vivere, pillole per morire
    continui sforzi, continui sterzi
    e credemmo che mai sarebbe accaduto
    non esser compresi ed amati.

    Così mettemmo la luce negli occhi degli altri
    in un silenzio fragile come il vetro,
    concedemmo spazio ai sogni asfissiando la realtà
    finché, senza colpa, l’uno verso l’altro
    nel continuo scavare e scalare
    esplodemmo in pus
    ogni imperfezione nascosta
    e tra sorpresa e dolore
    scoprimmo che ci sono fiori
    belli solo da lontano,
    come i tulipani.

    La vita è una cosa buffa
    tanto ci si dà importanza
    ma l’unica cosa seria
    davvero
    è accogliere le imperfezioni
    con pazienza
    camminando verso la morte con le mani in tasca.

    (Giovanni Lupi 7.5.22)

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  • Il parco delle forme geometriche

    “Ti amo come sei”

    disse lei all’Esaedro

    con una frase che tanto nei millenni

    è parsa scivolosa,

    ma stavolta no, era salda con i rampini.

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  • Il dolore è una corona di vetri rotti

    Il dolore mi saltò cavalcioni,

    dondolava sulle spalle

    come fossimo compagni di giochi.

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  • Il tempo di fermarci


    Traversammo mari, monti e luoghi comuni,
    cercammo un mondo che fosse libertà,
    ci tenemmo lontani dalla strada segnata
    e grande fu la sorpresa
    di una Terra Nostra,
    fertile di baci appiccicosi al succo di fico,
    splendente del tramonto di tende
    scolpita da minuti colpi e terremoti.

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  • L’uomo che sussurrava alle emoticon

    Era una donna ordinaria, come posta elettronica usava Virgilio, acquistava sempre il cellulare Samsung modello base ma, soprattutto, inviava sempre le stesse emoticon: una faccina con sorriso se qualcosa era andato bene, una faccina con la lacrima se qualcosa era andato male.

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  • I nostri occhi erano incroci

    Facemmo terra arsa
    per non poter uscire,
    al centro respiravamo i nostri respiri
    nulla c’era sopra, nulla c’era sotto
    quel cerchio con noi al centro.

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  • Ma c'è questo amore?

    Ma c’è quest’amore,
    o è solo l’ombra dei sogni?
    immaginato
    atteso
    ma solo ombra.

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  • Mezza età

    Siamo grandi ormai,
    e saggi,
    per quello sappiamo apprezzare
    l'unica vera bellezza,
    che mai sfiorisce

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  • Mi era finita la poesia

    Mi era finita la poesia,
    ce l'avevo,
    lo giuro,
    mi veniva naturale,
    non so se valesse,
    ma tanto la poesia non vale,
    mai. 

    Ma anche quella poesia
    senza valore come tutte,
    me l'ero persa,
    smarrita.
    Alla denuncia di smarrimento,
    il poliziotto, smarrito,
    "si può smarrire solo quello che vale,
    non una poesia",
    così l'ho cercata, solo.
    In cielo uccelli in bozzoli di mascherine,
    in terra gente che camminava dentro un muro,
    nell'aria un virus di idee stantìe.
    Ero rassegnato,
    senza poesia si può vivere,
    lo fanno in tanti,
    lo fanno in quasi tutti.
    Quando la vidi.
    Era la mia poesia,
    arrancava,
    cavalcata dalle Regole,
    per il bene di tutti.
    Le Regole la spronavano a stare immobile
    "guai!" e giù un colpo,
    "guai!" e giù un altro colpo.
    La poesia capiva solo che le regole erano "guai!",
    ma obbediva, non c'era altro da fare.
    "Perchè mi hai perso?"
    mi chiese con lo sguardo silente.
    La guardai come un tesoro ritrovato
    che non potevo afferrare
    avvolto in un bozzolo di mascherine.
    Mi avvicinai a fatica,
    mi sussurrò a fatica.
    "da ogni bozzolo nasce una farfalla".
    che banalità pensai,
    ma avevo così bisogno di banalità
    che una lacrima mi bagnò
    la mascherina.

    (Giovanni Lupi 30.10.20)

     

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  • Questa è la ballata di chi scrive senza essere letto

    Questa è la ballata di chi scrive senza essere letto

    neanche gli amici lo leggono,

    neanche chi dice di averlo letto lo legge,

    neanche il correttore automatico di word lo legge,

    non lo legge proprio nessuno.

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  • carica la pellicola

    Ogni volta che sorride

    mi regala 10 anni in meno,

    i ricordi vanno a sbattere

    lì dove tutto è nuovo,

    "carica la pellicola

    e proietta questa vita",

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  • chi svuoterà la mia casa

    chi svuoterà la mia casa

    stia tranquillo

    non mi troverà

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  • “Che cazzo fate?”

    Si baciarono in un prato. Erano usciti con una scusa, una di quelle legali.

    A sedici anni hai voglia di un bacio, anche dopo, ma a sedici anni un bacio è tutto.

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  • E’ guerra

    Non si sapeva

    quello che era

    non era mai successo

    dicevano

    tutti attendevano

    poi

    all’improvviso

    si capì

    -è scoppiata la guerra-

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  • E’ il momento

    e’ il momento

    di regalare guanti in lattice

    e la nostra lontananza

    di poggiare la spesa a terra

    e andare via

    -ci riabbracceremo papà-

    ma aspetta un’ora

    prima di prendere la busta

    -sì, ci sono anche le lingue

    di pizza rossa-

     

    è il momento

    di regalare la nostra paura

    e crema per le mani

    -mille volte devi lavarle-

    e poi sperare,

    perché ci rivedremo tutti

    come prima

    che quel tanto che avevamo

    ci pareva normale

     

    (Giovanni Lupi – 10 marzo 2020, ore 7.11)

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  • un disastro

    diciamocelo

    siamo un disastro

    uno per uno

    due per due

    siamo figli di errori

    nipoti di errori

    stirpi di errori sino alle scimmie

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  • Un amore non facile

    Era un amore non facile

    in continua trasformazione

    l’uno dell’altro.

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  • Con una siringa

    Con una siringa
    mi succhiò la voglia di vivere.

    -L’amore è così- disse
    -sembra che ti dà e invece ti toglie-.
    -Allora non lo voglio-, provai.
    -Non ti muovere
    sennò viene il livido-.

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  • Incomprensioni

    Lui disse -aspetta-
    lei capì -ho fretta-
    e così accelerò

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  • Gli Extrafamiliari – racconto di Ferragosto 2019 (lungo) con nipotino

    E’ Ferragosto, Feriae Augusti e, per motivi noti a tutti, si sta in famiglia, familia.
    “Ma che roba!” Il pater chiude il giornale sotto l’ombrellone, familias.
    “Che succede?” Chiede la moglie del pater che quindi è la mater.

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  • A seguire. Racconto di Ferragosto 2019 (corto) con nipotino.

    Fece la sua prima gara di nuoto a dieci anni. Premiarono i primi tre classificati, poi altri, tra cui lui, -a seguire-. Per non dire settimo, ottavo, ultimo persino. Dopo i primi tre, gli altri erano -a seguire-.
    Per le successive 72 gare, in 15 anni di nuoto, arrivò sempre -a seguire-.Così quando nacque sua figlia non potè che chiamarla Asseguire.

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  • un dio di bacio

    Si baciarono per tutta una vita,
    fecero figli o non li fecero,
    come venne.

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  • E baciala

     

    E baciala quella ragazzina dalla treccia lunga,

    e diglielo che ti piace

    per quel modo di guardarti con sfida

    per quel passo sgambettante che solo per te ha grazia.

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  • MagRoma e mamma

     

    La MagRoma era un posto dove portai mia madre,

    mia debolezza, mia forza.

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  • Quota cento: finalmente chiarezza.

     

     Aveva una intelligenza sintetica e intuitiva, non approfondiva nulla che non lo interessasse realmente, e realmente nulla lo interessava. A parte le donne, che gli parevano un buon modo per passare il tempo, meglio delle Serie Tv e della Playstation cui si dedicavano i suoi amici più colti.

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  • -Vaffanculo- o -li mortacci tua?-

    “E’ più offensivo -vaffanculo- o -li mortacci tua-?”

    Sembrò un post come tanti, uno di quelli che raccolgono una decina di commenti dagli amici più intimi, in cui si discute della soluzione di piccoli problemi quotidiani, e basta. Ma non fu così, affatto.

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  • La morte è una gran fica

     

    La mia vita si annodò e si snodò,

    come tante.

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  • Nudi

    Senz’altro che non fosse noi stessi,
    volevamo e volavamo,
    acqua da bere e da nuotare,
    nudi come il piccolo di gabbiano
    che schiuse ali bianche e piumose.

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  • La ricetta della felicità

    Scrivevo solo di argomenti tristi, guerre, morti, politica, e quindi ero sempre triste. Un noto autore, noto a me e ad altri tre, mi suggerì. “La ricetta della felicità è scrivere di argomenti felici, armistizi, nascite, sport.” E così feci. Ci tenevo davvero ad essere felice.

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  • Siamo qui

     

    Fu rumore,

    ci parlammo senza ascoltarci

    come sempre avevamo promesso

    e l’assenza di armonia ci stordì,

    fino a cadere.

    Ci bagnammo nello stesso fiume,

    nel rancore che solletica i piedi, e poi li gela

    nell’ingratitudine che colpisce, e scappa

    e fradici aspettammo un sole

    che mai arrivò.

    Un tempo

    non avevamo bisogno

    di vederci in ginocchio

    per misurare amore e potere,

    eravamo certi

    che la naturale parabola

    verso la noia

    non ci avrebbe riguardato.

    E ora siamo qui

    a parlare di noi

    che tutto il mondo avevamo in pugno

    di fronte a uno sconosciuto

    che colpisce con un bastone

    la nostra collezione di cristalli,

    poi guarda l’ora

    e dice profondo

    “a mercoledì prossimo, allora.”

    Andiamo via insieme,

    vicini,

    perché non possiamo farne a meno.

    (Giovanni Lupi marzo 2018)

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  • Le differenze

     

    Come ogni inizio

    divamparono le fiamme,

    come ogni fine,

    fumarono le braci.

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  • Ti ano

     

    Era la donna dell’ovvio. -Ti lovvio-, le dissi

    Era nota per il suo sedere. -Ti ano-, le dissi

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  • Un pezzo per volta

     

    Mi avvicinai lento,

    la lingua uscì intrepida

    in cerca della tua

    e fu quel contatto umido

    che da sempre chiamano bacio.

     

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  • Mi strinse al collo

     Era stupendo il paesaggio della mia vita,

    irradiato di sole che mi bagnava a sazietà,

    il sorgere e il tramontare erano fonte di gioia.

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  • Vivo come se

     

    Vivo come ci sia sempre tempo

    come possa abbracciare chi amo secondo voglia

    come se lacrime e riso siano infinite.

     

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  • Ferragosto

    Caracollava di cellulite,

    quintali di cibi mal digeriti,

    budini di carne che neanche un Bimby

    avrebbe osato affrontare.

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  • Mi ubriacai di te

     

    Sobrio da vita astemia

    mi ubriacai di te.

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  • Poesia di dolore (o d'amore)

     

    Per inspiegabili motivi

    mi trovai a soffrire.

     

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  • Quel dannato -fanciullino-

    A quindici anni avvertii la sua virulenta invadenza per la prima volta. Le ragazzine dopo un “sei troppo infantile” mi abbandonavano a me stesso, solo, ad ascoltare le canzoni di cantautori depressi e depressivi che all’epoca, per motivi inspiegabili, andavano di gran moda.

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  • Il passato sulle spalle

    Un secondo dopo,

    un passo prima

    e mai ci saremmo incontrati.

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  • Un gioco che cammina

     

    Mi costrinsi poeta

    per vanto di famiglia

    -guai se diventi avvocato!-

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  • Noia

     

    E la noia scese fitta come la nebbia

    che tutto prende, che a nulla tende.

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  • L’amore è quella cosa che solo alla fine capisci se c’è stata

    Il nostro amore marcì come una prugna,
    lasciando polvere blu nei nostri cuori
    e rimpicciolendo quando così gonfio sembrava.

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  • Grassopapà

    Papà era enorme.

    Non potendo diventare importante

    era diventato grasso.

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  • Natale occupato

    'E' Natale!'
     
    'Occupato!'
     
    'Hanno occupato il Natale?'
     
    'No sono occupato io.'

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  • Questa è la sua storia

    Era un bambino freddo
    nato da ovuli congelati,
    indifferente a ogni forma di piacere,
    poi ingoiò un chicco di mais
    che esplose nella pancia
    divenne un pop corn
    e provò piacere,
    per la prima volta.

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  • Placido come un pascià

    Stai lì, sul divano, placido come un pascià,
    a guardare la televisione, il tuo programma preferito,
    ‘chi l’ha visto?’
    e mi fai rabbia,
    perché te lo pregusti quel programma,
    e a me non piace niente,
    giro in canali in cerca di qualcosa
    che mai troverò.

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  • Questo è il mio corpo

    A volte mi perdo il corpo
    il mio corpo
    quello che indosso dalla nascita
    quello che ero piccolo
    quello che -entrava in un lenzuolino-
    diceva mamma.

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  • La tecnologia a volte è come un viaggio: pensi di essere arrivato alla fine del Mondo e non sei arrivato neanche a Viale Libia

    Un uomo è seduto su un divano. Accanto a lui una bambola a grandezza naturale. Lui è serio, mangia dell’insalata. Ne porge un po’ a lei che non mangia. La guarda in volto, è stupito, aggrotta le sopracciglia perplesso.

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  • La felicità degli altri

    Importante come nonno
    dal naso importante
    che costruì l’Italia e le sue ferrovie
    tosco emiliane
    calabro lucane
    sardo siciliane.
    Sì, felicità è diventare
    importante come nonno e il suo naso.

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  • Tutto qui?

    All’asilo, col grembiulino azzurro per i maschi, bianco per le femmine, impari l’alfabeto con i disegnini alle pareti. A come Arcobaleno, B come Barchetta, e quando arrivi alla Z di Zio, -Fantastico!- Dice una parte di te. E quando scopri che Z è anche come Zorro e come Zoo, allora ancora più -Fantastico!- Ma subito dopo un’altra parte di te sussurra. -Tutto qui?-

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  • Nuda felicità

    Sdraiato sulla spiaggia
    vedo un belga nudo
    bianco mozzarella trasudante latte
    che dice -baciami-
    a mamma italiana
    con figlia distante e marito boh.

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  • Le emozioni sono pericolose

    Fu uno dei tanti incontri
    che nella vita si fanno.
     
    Ero seduta
    sulla sedia di una sala così sola
    che qualsiasi approccio o abbraccio
    mi avrebbe fatto sentire meno sedia.
     
    Lui più alto che basso,
    aveva cappello rosso,
    cravatta viola,
    bermuda blu,
    il cattivo gusto di un principe,
    presto quello di un re.

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  • Amore

    E’ un vuoto
    di notte,
    che di giorno riempi
    con quello che trovi.
     
    E’ un vuoto
    senza causa
    o di causa umana,
    quindi
    senza causa.

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  • Rumore del tempo che passa

    Le offrii il mio entusiasmo
    perché non avevo altro da offrirle.
    E lei lo usò,
    un po’ per noia che tutto uccide
    un po’ per voglia che tutto smuove.
    Lo spalmò sulla faccia
    e vi segnò un sorriso.
    “Chirurgia estatica” disse
    e pianse sciogliendo l’entusiasmo in lacrime.
    Ma non mi scoraggiai,
    perché la felicità nasce dal dolore.

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  • Voglio capire

    Voglio capire come funzioni
    cosa ti fa chiudere gli occhi
    cosa te li fa aprire
    e essere la causa del tuo aprirli.
    Voglio capire perché un pensiero diventa una montagna
    e un altro un iceberg che si scioglie in acqua.

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  • Gesù Cristo è Amico Mio

    “Gesù Cristo è tuo amico. Gesù Cristo è tuo amico.”
     
    Fino da quando avevo pochi anni Suor Manuela mi aveva sempre ripetuto questa frase. Io ero orgoglioso e felice di questa amicizia, anche se ogni tanto mi veniva un dubbio. Gli amici ogni tanto si incontrano, altrimenti che amici sono? Io invece Gesù Cristo non lo vedevo mai dal vivo, neanche su fb o su wa, insomma, proprio niente.

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  • In amore ci si incontra a metà strada

    Dice che ci si incontra a metà strada,
    sì, nell’amore, come un appuntamento.
    Si arriva puntuali,
    ci si guarda da lontano,
    poi si fa un passo,
    si controlla il passo dell’altro
    e si fa un altro passo.
    Così, passo dopo passo,
    ci si incontra a metà strada.

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