Grassopapà
Papà era enorme.
Non potendo diventare importante
era diventato grasso.
Non potendo diventare ricco
era diventato vorace.
-Grassopapà- lo chiamavo da piccolo,
c’erano dei cartoni animati tipo così.
Lo notavano ovunque,
essere notato era la sua rivincita.
Quando non lo guardavano
gonfiava le guance
paonazze, come a esploderle.
Papà era enorme e tanto.
Invidioso, assistito, romantico.
Invidioso
di un indiano
che mangiò una Fiat Panda intera,
pezzo per pezzo
ci mise due anni,
-buona macchina- ruttò.
Assistito,
andava in bici con la pedalata assistita,
mangiava con la forchettata assistita,
-voglio una vita, la voglio assistita-.
Romantico,
-mi viene voglia di ingrassare
quando la luna mette pancia-,
-quando la perde,
perdo la luna-.
Grassopapà lo amavo,
come si amano
i papà, le mamme,
le parti di sé che uno ha trovato.
-L’amavo- perché ora -l’adoro-
è accanto a me,
sono grande anche io,
ride,
mangia una ciambella unta,
chiede se gliela divido in pezzetti
così gli sembra di più.