Quel dannato -fanciullino-
A quindici anni avvertii la sua virulenta invadenza per la prima volta. Le ragazzine dopo un “sei troppo infantile” mi abbandonavano a me stesso, solo, ad ascoltare le canzoni di cantautori depressi e depressivi che all’epoca, per motivi inspiegabili, andavano di gran moda.
“Sai cosa c’è dentro di te?” Per consolarmi mia madre mi fece una di quelle domande retoriche che sempre mi hanno innervosito. “Un -fanciullino-” continuò rispondendo a sé stessa. “Anche se crescerai sarà sempre dentro di te, ricordalo, la tua parte infantile mai ti abbandonerà.”
Realizzai quindi che era colpa di quel dannato fanciullino se i miei amici rimorchiavano come se piovesse e io stavo a casa, solo e con l’ombrello chiuso. Risoluto andai a Villa Ada e iniziai a correre come mai avevo fatto, convinto così di seminare il fanciullino dalle gambe corte, ma tutto fu inutile. Infatti, dopo pochi minuti di speranze, incontrai Vania la tettona che, al braccio di un suo amico più grande, mi indicò con un “è lui l’infantile di cui ti dicevo.” Niente, il fanciullino era ancora dentro di me, per il momento mi rassegnai non prima di aver espiato la mia colpa con sedici ascolti consecutivi de ‘la canzone di Marinella.’
A trent’anni, quando tutti i miei amici si sposavano felicemente tra pranzi, balli, bomboniere e lancio della sposa, -pardon- del bouquet, mentre io non ne avvertivo la minima intenzione, sentii nuovamente la frase che odiavo. “Sei proprio infantile” mi apostrofò un amico che decantava i piaceri della vita matrimoniale, mi parlava con entusiasmo di quanto fossero felici lui e sua moglie abbracciati davanti al televisore, quanto entusiasmanti i ruttini e le puzzette del figlio e come “nella vita ognuno dovrebbe scrivere una poesia, piantare un albero e fare un figlio.” Scrissi così una poesia, ovviamente depressa e depressiva visti i miei gusti musicali, sputai un nocciolo di albicocca in una buca, ma la voglia di fare un figlio non mi sfiorò. Così, quando anche l’ultimo dei miei amici si sposò e figliò, andai in un bosco e mi addentrai finché neanche un raggio di luce potesse filtrare dagli impenetrabili rami. Poi mi guardai intorno e scappai, quel cazzo di fanciullino stavolta non avrebbe trovato la strada del ritorno. Ma niente anche in quel caso, il matrimonio mi pareva ancora una vicenda noiosa e priva di ogni senso e il procreare un inutile aggravio per il Pianeta. Il maledetto fanciullino era ancora dentro di me, così iniziai a frequentare amici più giovani e, per il momento, mi rassegnai, non prima di aver espiato la mia colpa con trentadue ascolti consecutivi de ‘la canzone di Marinella.’
A quarantacinque anni mi licenziarono dall’unico lavoro che ero riuscito a trovare nella mia vita. Un piano di ristrutturazione aziendale stabilì che potessero rimanere in servizio solo coloro che avessero raggiunto un “elevato grado di maturità.” Io ovviamente venni scartato, senza neanche quella stretta di mano e quella pacca sulle spalle che dopo un licenziamento mi pareva il minimo. Ma quello che era il minimo per me fu il troppo per gli altri. Da disoccupato ebbi molto tempo libero per esperire innumerevoli tentativi di liberarmi di quel fanciullino che, al mio invecchiarsi, rimaneva di una gioventù strafottente. Feci lunghi bagni a largo sperando non sapesse nuotare, affrontai funi sospese e ponti tibetani sperando avesse le vertigini, guidai per strade dalle curve repentine per farlo scendere dalla macchina in corsa, ma niente, dentro di me era e dentro di me restava e, per il momento, mi rassegnai, non prima di aver espiato la mia colpa con sessantaquattro ascolti consecutivi de ‘la canzone di Marinella.’
A sessanta anni cominciai a guardare le donne con trenta, se non quaranta anni meno di me. E non ne guardavo gli occhi cerulei, che poi -cerulei- non so neanche cosa voglia dire, ma ne guardavo il culo sodo, le tette sporgenti, le spalle toniche. Insomma, il fanciullino oltre a farmi desiderare le donne più giovani era anche un gran porco e guidava i miei pensieri verso baratri di nefandezza. Andai con ogni tipo di donna, vidi film porno di ogni genere, feci ammucchiate da non riuscire a distinguere un piede da un seno, ma niente, il fanciullino non solo non si scandalizzava, non solo non si saziava, ma anzi mi aizzava sempre di più, arrivando, persino, a far desiderare al mio corpo da vecchio quello giovane di prostitute. Ero stufo, ma non sapevo davvero come liberarmi di questo peso giovanilista che da decenni ero costretto a portarmi appresso.
Esausto pagai un killer. Il piano era questo, lui avrebbe dovuto spararmi, il fanciullino sarebbe scappato per la paura, io mi sarei scansato leggermente per rimanere salvo e libero, finalmente. Andò così, il killer sparò, il fanciullino uscì dal mio corpo e mi chiamò. “Ehi, Giovanni, ma ti ricordi quando…?” “Quando… che ?” Risposi distratto dalla frase dimenticandomi di scansarmi. Il proiettile mi colpì al cuore e mi uccise.
Al mio funerale suonarono ovviamente la canzone di Marinella nella commozione generale. Tutti quelli che mi avevano conosciuto vollero leggere un pensiero. Vania la tettona, il mio amico felicemente sposato, persino il capo del personale che aveva decretato il mio licenziamento. Tutti, trattenendo le lacrime, mi ricordarono come persona matura e responsabile. Ero morto inutilmente, quindi. Poi si sentirono dei piccoli passi andare verso il microfono, anche se non si vedeva nessuno, e, nel silenzio, si senti un rumore strano, -una pernacchia-, disse qualcuno, non mi ero liberato del fanciullino neanche da morto.
FINE
Maggio 2017